Cina, l’inflazione galoppa: colpa della peste suina africana

L’economia cinese sta attraversando uno dei periodi più complicati del recente passato. Due sono le cause che hanno indebolito la macchina perfetta della Cina: l’estenuante guerra dei dazi combattuta a distanza con gli Stati Uniti di Donald Trump, tra tariffe su tariffe, e la gravissima epidemia di peste suina africana che ha fatto a pezzi una buona parte degli allevamenti di maiali del Paese. Il risultato, come ha riportato l’agenzia Asianews, è che lo scorso settembre l’inflazione al consumo ha accelerato con il ritmo più veloce degli ultimi sei anni. La peste suina ha infatti ucciso milioni di maiali, provocando l’aumento del prezzo della carne suina fino allo stratosferico valore del 70%. Per mettere una pezza su una emergenza nazionale, Pechino è stata addirittura costretta ad attingere dalle riserve di carne per contenere i prezzi ormai impazziti.

Cresce l’inflazione

Gli ultimi dati ufficiali pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistica cinese sono chiarissimi. L’indice dei prezzi al dettaglio del mese appena passato, cioè l’indicatore più importante per misurare l’inflazione, è passato dal 2,8% di agosto al 3%, ed è il dato più alto dal novembre 2013. Secondo l’opinione di Capital Economics, una società britannica di consulenza, tale aumento avrebbe una causa specifica: l’inflazione dei prezzi alimentari, in primis quelli inerenti alla carne di maiale. Proprio come nel più classico effetto domino, la peste suina ha causato l’aumento fino al 19% anche dei prezzi di altri tipi di carne (manzo, pollo e anatra), oltre a quello delle uova. Un vero e proprio disastro considerando che la dieta cinese si basa per lo più sulla carne di maiale.

È possibile fermare la diffusione del virus? In teoria sì: basterebbe isolare gli esemplari malati. Il problema è che molti allevatori preferiscono non uccidere le proprie bestiole infette per la paura di rimetterci troppi soldi. Le autorità locali dovrebbero infatti riconoscere una somma per ogni animale malato ucciso, ma spesso le casse locali sono vuote e il guadagno dei citati allevatori è minimo. In un contesto del genere appare complicato contenere un’epidemia così grande, che tra l’altro è approdata anche in altri Stati asiatici.

Gli effetti della guerra dei dazi

C’è però dell’altro, perché se l’inflazione ha fatto aumentare il prezzo di vari beni agroalimentari, i prezzi della produzione sono in picchiata, e sono scesi per il quinto mese consecutivo. Colpa, questa volta, dell’indebolimento della domanda interna, conseguenza a sua volta della guerra commerciale con Washington. L’indice dei prezzi alla produzione si è infatti contratto dell’1,2% rispetto al 2018. Questo significa che il braccio di ferro prolungato con il governo americano ha spinto la classe media cinese a tirare la cinghia, provocando un brusco calo nei consumi. Il problema, per la Cina, è che il governo aveva puntato proprio su questa porzione di popolazione per evitare le sabbie mobili, e ora si ritrova non solo alle prese con i contro-effetti dei dazi, ma anche con un’epidemia dilagante. Le autorità dovranno riuscire non solo a sperare di trovare un accordo con gli Stati Uniti, ma anche di frenare la peste suina. Se la prima impresa appare alla portata di Pechino, la seconda appare più complicata.

 

Source: insideover.com

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