Cambia il lavoro, cambia il sindacato: contrattazione di sito e di filiera, inclusione e rappresentanza “di strada”.
La parola d’ordine è “sperimentare”, perché se il mondo del lavoro è cambiato e continua a cambiare rapidamente, il sindacato deve fare altrettanto, intercettando tutte quelle forme di lavoro atipico, precario, nascosto che oggi sono sempre più diffuse. Questo è stato il tema centrale nell’assemblea generale della Cgil di Terni, che si è svolta ieri, 10 settembre, alla presenza del segretario nazionale Nino Baseotto, e che ha elaborato un documento che indica appunto le priorità di azione della Camera del Lavoro.
Tra queste c’è in primo luogo la costruzione di “attività di partecipazione e condivisione nei luoghi di lavoro e nelle filiere”, dove sviluppare “coordinamenti di sito o di filiera, coinvolgendo le Rsu e gli Rls (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), a prescindere dell’applicazione o dalla presenza dei Ccnl”. La Cgil punta quindi a “superare lo spazio fisico contrattuale” per stabilire “un più ampio e condiviso confine, rappresentato dal luogo di lavoro (la fabbrica, il cantiere, l’ospedale, l’università, ecc.)”. Nella sola Ast, ad esempio, operano circa 130 ditte in appalto, che impiegano oltre mille lavoratori, inquadrati con contratti diversi e quindi con livelli diversi livelli di diritti e tutela.
L’obiettivo, dunque, è allargare la rappresentanza a tutti quelle categorie di “lavoratori invisibili”, che vivono in dimensioni lavorative deregolamentate, segmentate, parcellizzate o isolate. “È il territorio, oltre alla categoria, ad essere il punto di riferimento di questi lavoratori e di questi cittadini – si legge nel documento approvato dall’assemblea generale della Cgil di Terni – ed è su questo piano che si dovrà muovere l’attività sindacale, troppo spesso rinchiusa nelle sedi e negli uffici, sia pure per oggettive difficoltà organizzative. Tutto ciò ci impone di riflettere sulla complementarietà di forme di contrattazione territoriale di categoria e interconfederali che prevedano comunque percorsi democratici di validazione sia delle piattaforme che degli accordi; si potrebbe spaziare dai tradizionale aspetti salariali e normativi fino alla garanzia di accesso ai servizi fondamentali più lontani dai lavoratori (formazione professionale, sanità integrativa, ecc.)”.
Anche la contrattazione sociale e territoriale deve essere vista, secondo la Cgil, come una nuova frontiera del sindacalismo confederale, capace di mettere insieme la tutela dei diritti di cittadinanza con quelli del lavoro. “Il suo carattere inclusivo – scrive ancora il sindacato – è proprio quello di ricomporre livelli di tutela universali, rispondendo in particolare a quella parte del mondo del lavoro più difficile da coinvolgere con i consueti strumenti contrattuali e presentandosi come una tipica azione di welfare, in grado di superare la frammentazione sociale attraverso il sostegno complementare alla dimensione del lavoro”.
Perché in conclusione, per sentirsi parte di un percorso, ovvero di una comunità, non basta delegare, serve prima di tutto e sempre di più partecipare.
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